Amore mortale

Il cigolio della porta annunciò il suo arrivo nel grande salone, un tempo cuore pulsante del locale più chiacchierato di quel quartiere altolocato, anzi, dell’intera colonia. Gli occhi scandagliarono rapidi la sala, soffermandosi un istante sul pianoforte a mezza coda bianco, così simile a una donna sensuale e ammiccante, nonostante l’età di entrambi. Sogghignò a quel pensiero, in fondo lei poteva vantare meno polvere addosso di quel vecchio cimelio.

«Star-Lust». Una voce calda e graffiante scandì il nome che ancora si leggeva sul fondo della scenografia, riecheggiando tra le pareti del locale. «Sei più stella o più…»

Lo sguardo della donna saettò al bancone che s’apriva alla sua sinistra, posandosi sul giovane uomo dal volto perfetto e con l’incarnato tanto chiaro da conferirgli un aspetto quasi etereo, o angelico avrebbero pensato un tempo.

«La luna è un satellite, per cui un pianeta, i paragoni col mio nome sono superficiali. Come mai mi hai fatto venire qui, El?» replicò con voce atona e fare impettito, mentre si avvicinava guardinga.

«Volendo essere precisi, Selene era una dea, non un pianeta, per cui non mi riferivo al tuo nome».

Le labbra del ragazzo si tesero in un sorriso serafico e lo sguardo purpureo brillò nello scorrere sul corpo di lei.

«Mi aspettano al porto, per cui sbrigati».

«Lo so».

«Quando mai non sai qualcosa?» ribatté con una nota irritata all’idea che continuasse a leggere i suoi pensieri.

Selene si tastò il polso con la mano destra e si gelò nel trovarlo spoglio. La sua ricetrasmittente pendeva ondeggiando dalla mano di El.

«Che diavolo sta succedendo?» gli domandò a denti stretti in un ringhio dal sapore animale.

«Oh ecco, questa è la parte di te che preferisco: passione», sogghignò. «Quando poi la lasci scorrere come pura lussuria, allora sì che riesci a brillare come una stella».

«Piantala coi tuoi deliri! Se avessi voluto continuare ad ascoltarli non ti avrei mollato dieci anni fa».

El scomparve dalla sua vista, portandola a digrignare i denti, poi le mancò il fiato un istante. Conosceva bene quella sensazione, come se fosse stata afferrata e trascinata nel vuoto a velocità spaventosa, in un’accelerazione a spirale crescente che stordiva. Le ginocchia si fecero molli e i muscoli cedettero, abbandonandola tra le braccia di lui, con la sua faccia a pochi centimetri e la sua bellezza immutabile, aliena.

«Maledetto, tu e i tuoi giochetti», gli disse a fatica.

«All’attracco 9 dovranno fare a meno di te, la nave interstellare siriana avrà dei problemi e non ti ci voglio in mezzo», chiarì accarezzandole i capelli, fino a sciogliere la coda in cui erano stretti, liberando quelle onde che disegnavano un mare dorato. «Tu non puoi lasciarmi e lo sai».

«Vaffanculo. L’ho fatto!»

«E stai invecchiando. Hai iniziato a consumarti, anche se qui un po’ più lentamente».

Le sfiorò le labbra rosee e carnose con il pollice, concedendole un’occhiata malinconica, mentre con l’altra mano le stringeva i capelli e la nuca.

«Voglio andare a fare il mio lavoro», gli sibilò contro.

«O ad avvertire quella sottospecie di primate da cui ti fai sbattere?» il tono dolce mutò, rivelando un’asprezza tagliente e incapace di pietà o compassione.

Selene partì per stampargli un ceffone in faccia, tuttavia non arrivò nemmeno a sfiorarlo, ma si ritrovò col braccio torto dietro la schiena.

Un fischio sibilò nell’aria, condensandola, diffondendo l’odore tipico della ionizzazione e precedendo d’un batter di ciglia la luce bluastra che attraversò il salone, conficcandosi nella spalla di El ed espandendosi come vene luminose nel suo corpo.

«Toc toc», tuonò una voce bassa e profonda. «Il primate è qui… stronzo».

Selene, instabile appena liberata dalla presa di El, riacquistò l’equilibrio e sfoggiò un sorriso radioso verso l’uomo, la cui figura massiccia e segnata dal tempo, dalle fatiche, faceva letteralmente a pugni con quella dell’altro. Capelli color ebano, cortissimi, una mascella decisa e pronunciata, occhi castani, barba come carta vetrata dopo un paio d’ore che l’aveva tagliata fronteggiarono un essere dalla bellezza androgina, ma che sapeva essere fin troppo maschile, con capelli argentei che scendevano lungo la schiena, su un torso che amava esibire nudo in uno sfrontato atto di sfida.

«La tua nuova strategia sarebbe quella di farmi secco a tradimento?» gli chiese mentre l’arma si ricaricava, mantenendola puntata contro El che lo fissava contrariato.

«Cosa ci fai qui?»

«Ho il difetto di conoscere la donna che mi scopo e capisco se mi nasconde qualcosa, anche senza entrarle nella testa. Se poi ci sei di mezzo tu, fiuto la puzza: sei peggio di una discarica ambulante».

Selene ridacchiò, tuttavia ciò le costò una stilettata invisibile alle tempie, che le attraversò il cervello facendola accasciare a terra.

«Dovresti essere più oculato nella scelta dei termini», lo ammonì El, lanciando una fugace occhiata alla donna.

«E tu in quella dei tuoi nemici. Non sono una scimmia e non sono solo, a differenza tua».

Una serie di ringhi si innescò, levandosi dagli anfratti più bui del locale in un sommesso monito, presagio e memoria d’una guerra non ancora conclusa.

El si fece serio.

«Io non sono solo», precisò fissando l’altro negli occhi.

«Ho detto solo, non l’unico della tua specie. Infatti, se la pianti mi riprendo la mia compagna e ognuno per la sua. Almeno fino alla prossima», replicò con un ghigno di sfida. «Sappiamo entrambi che non puoi smaterializzarti con lei se non è consenziente e, credimi, con me qui i tuoi giochetti non basteranno. Lupo uno, stronzo zero».

El riportò l’attenzione su Selene e il disprezzo si sciolse in una muta preghiera a cui non avrebbe mai dato voce per orgoglio, per incapacità di rinunciare e lei lo sapeva bene.

«Davvero vuoi questo?»

«Vince la possibilità di potersi fidare senza dover sempre valutare mille opzioni, intrighi, senza sentirsi pedina nei tuoi giochi».

Non c’era più astio nelle sue parole, bensì qualcosa di più simile alla rassegnazione.

El le lasciò cadere la ricetrasmittente davanti le ginocchia, con i loro occhi a fissarsi nel silenzio, finché non svanì. Il rumore cessò d’improvviso e l’uomo avanzò veloce e deciso.

«A volte ti comporti proprio come lui!» la rimproverò inspirando a fondo e inginocchiandosi di fronte a lei. «Se davvero ti fidassi di me, non dovrei tirare a indovinare e farti seguire».

Le ultime parole furono un sussurro sensuale, almeno per lei che gli saltò al collo con un balzo, sbilanciandolo e facendolo finire spalle a terra.

«Dammi tempo, imparerò anche questo», dichiarò chinandosi e cercandone avidamente le labbra.

«Ecco, brava. Intanto comincia a pensare a come spiegare al capo perché entrambi non siamo dove dovremmo e, casualmente, anche stavolta ci siamo salvati la pelle», sbuffò. «Per forza siamo sulla lista degli indagati, sospetterei anch’io di me stesso».

«Se vuoi provo a dirgli la verità, almeno tu saresti scagionato».

«E tu messa su una graticola elettrificata fino a che non ti consumi, visto che non vi si uccide in altro modo».

Selene passò le mani sul suo giubbotto d’ordinanza.

«Alkes, lo sai che in fondo gli ci vorrebbe poco: mi sto già consumando».

Le affondò la mano tra i capelli, premendole la fronte sulla propria.

«Meglio che lasci parlare me col capo», le sorrise beffardo. «Nel mentre, tu decidi come farlo più tardi, che l’idea non mi dispiace. A volte ha delle buone uscite anche il tuo ex e a letto ce la caviamo ancora egregiamente direi».

Ignorare il pensiero di chi alla fine,sarebbe giunto al capolinea per primo, lasciando l’altro solo e con un vuoto incolmabile: questa era stata la loro scelta e avevano deciso di chiamarla amore… amore mortale.

Licenza Creative Commons

Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons: Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale

Rispondi