Quant’è difficile parlare?

Quant’è difficile parlare? A volte molto, soprattutto quando alle spalle c’è un un disturbo da stress post-traumatico.

Nika e il disturbo da stress post-traumatico

Trauma deriva dal greco e significa letteralmente ferita. Le ferite possono essere fisiche o psicologiche.

Oggi parliamo di un trauma particolare: il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), “la condizione di stress acuta che si manifesta in seguito all’esposizione a un evento traumatico” come la morte, una grave lesione o una violenza sessuale.

Chi soffre di disturbo da stress post traumatico:

➡️ è soggetto a ricordi intrusivi e ricorrenti, incubi e flashback.

➡️ cerca di evitare i contatti con persone e cose che lo riportano alla causa del trauma, riducendo la capacità di interazione emotiva. Questo viene percepito all’esterno come freddezza, distacco, mancanza di empatia.

➡️ tende a essere ipersensibilizzato, con forti difficolta nella gestione delle emozioni.

➡️ si porta dentro un forte senso di colpa, vergogna, rabbia, paura, ansia. Questo può sfociare in stati depressivi e di ipervigilanza, con risposte esagerate di allarme, problemi di concentrazione e insonnia.

«Hai mai detto a qualcuno cos’è realmente successo?»

La voce di Black era cupa e calda allo stesso tempo, riusciva a darle un senso di tranquillità, simile all’abbraccio di un buio accogliente in cui nascondersi.

Ciononostante, riuscì soltanto a scuotere la testa in segno di negazione.

«Allora raccontalo a me, Nika. Tira fuori la verità, perché cinque anni di silenzio sono un’eternità. Parla, ti prego. Per una volta parla e prova a fidarti di me.»

© Nika. La schiavitù del silenzio

Di recente ho avuto una bella chiacchierata con Maria Antonietta per un post che aveva condiviso.

Perché?

Il post cadeva in un errore comune: pensare che chi ha subito un trauma preferisca parlarne a un familiare o a una persona cara. Nella realtà non è proprio così.

➡️ Spesso è più facile aprirsi con uno sconosciuto che si è dimostrato disponibile ad ascoltare e che ha lanciato un input empatico. Non si corre il rischio di ferirlo con ciò che si è vissuto, il suo giudizio non avrà lo stesso peso di quello di chi amiamo.

La vergogna si mette un po’ di lato, il senso di colpa lascia un attimo di respiro, l’ansia allenta la presa. La paura, invece, resta.

Ho imparato a selezionare le persone con cui parlare, all’inizio erano sconosciuti. Ora sono amici, ma è stato un processo lungo.

Tu con chi preferisci parlare?

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